L’APPROCCIO PSICOSOCIALE NELLA PROGRAMMAZIONE E NELL’IMPLEMENTAZIONE DEI TRIALS VACCINICI PER L’INFEZIONE DA HIV Fabrizio Starace, Francesco Embrione, Maria Luigia Fusco Servizio Psichiatria di Consultazione ed Epidemiologia Comportamentale A. O. "D. Cotugno" - Napoli in “Annuario Istituto Superiore di Sanità”, 2003
La ricerca di vaccini efficaci per la prevenzione della infezione da HIV e per migliorare
la risposta immunitaria nelle persone che hanno già contratto il virus è una priorità della
sanità pubblica, considerata la continua diffusione di tale malattia ed il parziale fallimento
delle terapie attualmente in uso (Strauss et al., 2001).
Negli ultimi dieci anni sono stati testati numerosi vaccini per la prevenzione e il
trattamento del virus dell’HIV negli Stati Uniti e nei Paesi in Via di Sviluppo, ma la possibilità
di iniziare e portare a termine tali sperimentazioni è spesso minata dalla difficoltà di
reclutamento e dalla “mortalità” (ossia dall’elevato numero di persi al follow-up) dei soggetti
che accettano di partecipare ai trials. Gli studi clinici, infatti, se da un lato sono percepiti come
un’occasione per aiutare la comunità a combattere la diffusione dell’AIDS, dall’altro vengono
associati alla sensazione di essere una cavia e percepiti come una minaccia alla propria
Tali difficoltà non sono nuove e specifiche per l’HIV. La sperimentazione dei vaccini per
il cancro si è trovata ad affrontare le medesime problematiche di arruolamento e di adesione:
spesso i pazienti percepivano la sperimentazione come incerta e priva di benefici significativi
La contraddittorietà di queste percezioni, inoltre, è accentuata dalle informazioni,
spesso errate o incomplete, che i soggetti hanno sulle caratteristiche e le finalità dei trials e
dal modo in cui tali informazioni vengono comunicate al momento dell’arruolamento e durante
la sperimentazione. A ciò si aggiunge spesso, una certa superficialità da parte degli
sperimentatori verso gli aspetti psicologici e sociali implicati nella partecipazione ai trials.
In questo lavoro saranno sintetizzate le principali motivazioni che influenzano la scelta
dei pazienti di partecipare e di aderire ai trials; verranno inoltre passate in rassegna le
principali barriere che impediscono la partecipazione e l’aderenza ai trials. Sarà infine
sottolineata l’importanza della comunicazione e dell’informazione nel determinare le scelte dei
pazienti e la necessità di includere un approccio psicosociale e motivazionale nella
Motivazioni alla partecipazione ai trials
L’individuazione delle motivazioni e degli incentivi che spingono i pazienti a partecipare
ai trials sperimentali e vaccinici rappresenta un oggetto di ricerca sempre più frequente nella
letteratura scientifica. Conoscere le motivazioni dei soggetti, infatti, può consentire di
ottenere con maggiore probabilità la collaborazione degli stessi, permettendo di implementare
trials che tengano adeguatamente conto delle loro esigenze.
Attraverso la raccolta di dati quantitativi e qualitativi, gli studi condotti nel campo
dell’HIV/AIDS e in quello oncologico hanno isolato numerosi fattori ricorrenti in grado di
motivare i soggetti a partecipare e aderire alla sperimentazione. Tali fattori sono, in generale,
legati a tendenze altruistiche, alla percezione di benefici personali e alla soddisfazione per la
a) Volontà di arrestare la diffusione della malattia o di trovare una cura efficace.
Unanimemente, la volontà di fare qualcosa per combattere la malattia è stato riconosciuto
come il fattore che più influenza la decisione di partecipare ai trials. In uno studio su un
campione di soggetti tossicodipendenti e omosessuali statunitensi sulla volontà di
partecipare ad uno studio sul vaccino per l’HIV, circa il 60% dei soggetti rispose di voler
partecipare allo studio per contribuire a fermare la diffusione dell’AIDS (Strauss et al.,
2001). Allo stesso modo, una ricerca sulle motivazioni di tossicodipendenti tailandesi a
partecipare ad un trial vaccinico per l’HIV, ha evidenziato che la volontà di arrestare la
malattia era il fattore maggiormente incidente sulla scelta di partecipare (MacQueen et al.,
b) Desiderio di aiutare la società o conoscenti. Il desiderio di aiutare conoscenti con la stessa
malattia o, più in generale, di contribuire al benessere della società, rappresenta un altro
dei fattori motivanti la scelta di partecipare ai trials. Numerosi studi sui trials vaccinici per
l’HIV (Périssé et al., 2000; Jenkins et al., 1995, 1998; Strauss et al., 2001), così come
trials per le terapie contro il cancro, forniscono evidenze al riguardo (Hietanen et al. 2000;
Jenkins & Fallowfield, 2000). Uno studio condotto sulle motivazioni ad accettare o
declinare la partecipazione ad un trial per la terapia del cancro ha dimostrato che la
possibilità di apportare benefici agli altri rappresenta la ragione principale per cui i soggetti
decidono di partecipare alla sperimentazione (Jenkins & Fallowfield, 2000).
c) Aspettative di cure migliori e più durature. Tra i fattori legati alla percezione di un
vantaggio personale nella partecipazione ai trials, l’aspettativa dei pazienti di essere
seguiti in maniera più accurata o di migliorare la propria salute rappresenta la motivazione
più frequente (Jenkins et al., 1995, 1998; MacQueen et al., 1999; Strauss et al., 2001).
d) Aspettative di miglioramento della rete sociale. È stato altresì evidenziato come la scelta
di partecipare ai trials possa essere influenzata anche dalla percezione della possibilità di
stringere rapporti significativi con altre persone che si trovano nella stessa condizione
e) Aspettativa di una remunerazione. Data la considerevole richiesta di impegno fisico,
psicologico ed economico necessario alla partecipazione ai trials (continui appuntamenti,
trasferte da affrontare per aderire alla sperimentazione, cambiamento della vita
quotidiana) l’aspettativa di una remunerazione risulta un fattore in grado di incidere sulla
decisione di partecipare (McQueen et al., 1999).
f) Influenza della rete sociale. La decisione di impegnarsi in tale tipo di sperimentazione
risulta essere spesso influenzata dalla percezione che la rete sociale del paziente ha della
sperimentazione, soprattutto per i soggetti che ad una prima valutazione si dichiarano
g) Aspettativedi assenza di effetti collaterali derivanti dal trattamento e fiducia nell’efficacia della sperimentazione. La fiducia nella possibilità che la sperimentazione possa essere
efficace e che gli effetti collaterali del trattamento non siano superiori ai suoi benefici
rappresentano i fattori legati alla percezione dello studio che più influiscono sulla
decisione di partecipare (Strauss et al., 2001).
h) Fiducia nel medico. Tale fattore fa riferimento al bisogno dei pazienti di essere seguiti da
un medico con elevate capacità comunicative e di ascolto: medici in grado di ascoltare e
comunicare efficacemente vengono percepiti come più affidabili (Penman et al., 1984;
Lupton, 1996; Jenkins & Fallowfield, 2000). Così, una relazione medico-paziente fondata
sulla fiducia aumenta la probabilità che i pazienti scelgano di sottoporsi alla
In definitiva, i soggetti che decidono di partecipare ai trials, e di aderirvi nel tempo,
tendono a concentrarsi di più sui possibili benefici del trattamento, sembrano essere più
influenzati dai medici, dai parenti o dagli amici, sono motivati dal desiderio di aiutare la ricerca
e la comunità e tendono a credere che la loro salute peggiorerebbe se non si sottoponessero
alla sperimentazione (Jenkins & Fallowfield, 2000). Appare doveroso rilevare, tuttavia, che
l’enorme incidenza rilevata in letteratura dei fattori motivanti legati all’altruismo dei soggetti,
sembra legata più ad un effetto di desiderabilità sociale che non ad un genuino interesse per
il benessere della comunità di appartenenza e della società. Data l'eccessiva incertezza
dell'efficacia del vaccino, è ragionevole supporre che i soggetti reclutati si siano sentiti in
dovere di dichiarare intenti altruistici per offrire un'immagine di sé più positiva, rispetto a
quella che sarebbe emersa se avessero dichiarato i loro reali interessi personali.
Fattori che influiscono sulla decisione di non partecipare ai trials
La conoscenza dei fattori che incidono maggiormente sulla decisione dei pazienti di
non partecipare ai trials sperimentali consente di evitare eventuali errori o omissioni nella
organizzazione della sperimentazione e permette di implementare studi che prendano in
considerazione i bisogni dei pazienti. Come per la ricerca delle motivazioni a partecipare ai
trials, anche per l’individuazione delle barriere sono stati condotti numerosi studi sia in
contesto oncologico che nel campo dell’HIV/AIDS.
Tali fattori sono essenzialmente associati alla preoccupazione di subire conseguenze
negative personali, alle caratteristiche della sperimentazione e alla comunicazione con lo staff
a) Discriminazione sociale. La paura delladiscriminazione sociale rappresenta uno dei
maggiori deterrenti a partecipare ai trials vaccinici per l’HIV. I soggetti che rifiutano di
partecipare si dichiarano preoccupati delle possibili reazioni dei loro conoscenti di fronte
ad una eventuale sieropositività indotta dal vaccino (Jenkins et al., 1995; Sheon et al.,
1998) e confessano la paura di essere stigmatizzati dalla comunità di appartenenza
b) Timore della disapprovazione da parte di persone significative. Alcuni studi hanno
dimostrato come i pazienti possano essere influenzati dal parere negativo dei propri
familiari e siano preoccupati dell’eventualità che possano non essere comprese le
modalità di funzionamento del vaccino stesso (Jenkins et al., 1998; MacQueen et al.,
1999). Allo stesso modo anche i pazienti affetti da cancro sono influenzabili da persone
care significative: la probabilità che decidano di partecipare è molto bassa se i parenti
sono contrari (Ross et al., 1999; Yeomans Kinney et al., 1995; De Luca et al., 1995).
c) Timore di essere penalizzato in sede di assunzione o in caso di ospedalizzazione. Come
dimostra uno studio condotto in Tailandia sulla volontà di partecipare ad un trial vaccinico
per l’HIV (Jenkins et al., 1995), la preoccupazione di essere discriminati al momento
dell’assunzione per un lavoro o di avere problemi al momento di un’eventuale
ospedalizzazione a causa della possibile sieropositività post-vaccino, costituisce un fattore
che incide, seppure in modo minore rispetto ad altri, sulla decisione di non partecipare alla
d) Timore di avere problemi con le agenzie assicurative. Allo stesso modo, l’eventualità di
avere problemi con le agenzie assicurative a causa della sieropositività indotta dal vaccino
risulta essere influente sulla decisione dei pazienti.
e) Paura di contrarre il virus dell’HIV dal vaccino o di sviluppare l’AIDS più velocemente. Le
paure irrazionali legate alle aspettative di effetti negativi sulla propria salute costituiscono
uno dei fattori più a rischio di pregiudicare la partecipazione ai trials. È stato riportato che i
partecipanti ai trials si dichiarano impauriti di contrarre il virus tramite il vaccino (Périssé et
al., 2000; Strauss et al., 2001) o di sviluppare più velocemente l’AIDS una volta contratto il
f) Paura degli effetti collaterali. Il timore degli effetti collaterali del vaccino rappresenta un
fattore in grado di incidere largamente sulla decisione di partecipare alla sperimentazione.
Numerosi studi hanno dimostrato come il carattere sperimentale dello studio stesso possa
elicitare e sostenere tale paura del vaccino (Douglas et al., 1994; MacQueen et al., 1999;
Périssé et al., 2000; Strauss et al., 2001).
g) Paura di aumentare i comportamenti a rischio. La volontà di partecipare alla
sperimentazione è influenzata anche dal timore di aumentare i comportamenti a rischio.
L’erronea percezione di sottoporsi ad un vaccino sicuro contro l’HIV, infatti, può indurre i
soggetti ad evitare gli abituali comportamenti cautelativi (Strauss et al., 2001).
h) Sfiducia nell’efficacia della sperimentazione. Sia i pazienti reclutati per la sperimentazione
contro il cancro, sia quelli reclutati per i vaccini contro l’HIV, spesso rifiutano di partecipare
ai trials perché non credono nell’efficacia del trattamento. Tali soggetti hanno difficoltà a
fronteggiare l’incertezza (Autret et al., 1993; Ross et al., 1999) e percepiscono la
sperimentazione come una perdita di tempo (Strauss et al., 2001).
i) Richieste troppo impegnative. Sia in contesto oncologico che in contesto HIV/AIDS la
partecipazione alla sperimentazione richiede ai pazienti un’elevata disponibilità fisica,
psicologica ed economica. Tale richiesta, naturalmente, può causare preoccupazioni ad
alcuni pazienti, può influenzare la loro decisione a partecipare o provocare l’abbandono
dello studio. La richiesta di frequenti appuntamenti, i continui viaggi, le spese mediche,
rappresentano i motivi più frequenti di rifiuto (Hunter et al., 1987; Orr et al., 1992;
Henzlova et al., 1994; Ross et al., 1999); i pazienti, infatti, spesso percepiscono la
partecipazione ai trials come una limitazione per la vita quotidiana (Strauss, 2001).
j) Rifiuto della randomizzazione. Una notevole ignoranza esiste sul significato della
randomizzazione. Quando il significato è conosciuto, invece, l’idea di essere assegnati ad
una condizione sperimentale in cui non si è sottoposti alla nuova terapia rappresenta un
motivo che induce fortemente i pazienti a rifiutare di partecipare ai trials (Bergmann et al.,
1994; Yeomans Kinney et al., 1995; McPherson & Britton, 1999; Fallowfield et al., 1998). I
pazienti spesso presumono che lo specialista già sappia come trattare la malattia e,
mentalmente, anticipano una situazione in cui l’incertezza della condizione sperimentale
non è contemplata (Toynbee, 1997); la nozione di assegnazione casuale evoca nei
pazienti, di fatto, la sensazione di essere usati come cavie (Jenkins & Fallowfield, 2000).
k) Mancanza di chiarezza delle informazioni. Il bisogno di maggiori informazioni da parte dei
pazienti sulle caratteristiche della sperimentazione alla quale partecipano è ampiamente
documentata in letteratura (Bevan et al., 1992; Maslin, 1994; Corbett et al., 1996; Strauss,
2001). Sebbene l’effetto di una maggiore informazione sulla volontà di partecipare ai trials
non sia chiaramente determinato (Myers et al., 1987; Llewellyn-Thomas et al., 1995;
Koblin et al, 2000), appare evidente che una modalità errata di trasmissione delle
informazioni incide in maniera negativa sulle decisioni dei pazienti (Wadland et al., 1990;
l) Sfiducia nell’ente committente. La sfiducia nell’ente committente della ricerca rappresenta
un fattore che, pur in modo minore, incide sulla decisione dei pazienti. Studi condotti in
Brasile (Périssé et al., 2000) e Tailandia (MacQueen, 1999) hanno riportato evidenze al
m) Comportamenti inappropriati dello staff medico. Anchelo staff di ricerca può fungere da
barriera alla scelta dei pazienti di partecipare ai trials. Numerosi studi hanno evidenziato
l’influenza negativa che può esercitare la scelta di un protocollo incompatibile con le
pratiche cliniche abituali (Fisher et al., 1991; Taylor et al., 1985; Ross et al., 1999),
l’esclusione della possibilità di scelta del trattamento da parte del paziente (Fisher et al.,
1991; Ross et al., 1999), le difficoltà dei medici stessi nel fornire informazioni sui trials a
causa dell’ignoranza della quantità di informazioni richieste dal paziente (Taylor & Kelner,
1987; Siminoff et al., 1989; Fisher et al., 1991; Ross et al., 1999), il doppio ruolo clinico e
di ricercatore, dei medici impegnati nella sperimentazione (Taylor et al., 1987; Fallowfield
et al., 1998; Ross et al., 1999), la selezione dei pazienti operata in base al senso di
autoefficacia percepita dai medici nel comunicare con essi (Taylor et al., 1985; Ross et al.,
In breve, i soggetti che decidono di non partecipare ai trials per l’HIV sembrano avere
più riserve riguardo l’efficacia della sperimentazione, percepiscono come più minacciosi e
destabilizzanti gli effetti che il trattamento può avere sulla loro salute e sulla loro qualità di vita
in generale, lamentano un maggiore bisogno di informazioni, presentano un livello di sfiducia
più alto nei confronti dello staff medico e percepiscono come più oneroso l’impegno che una
partecipazione ad un trial sperimentale comporta, rispetto ai soggetti che, invece, decidono di
L’influenza dell’informazione e della comunicazione sulla decisione dei pazienti
Come già argomentato nei paragrafi precedenti, i fattori in grado di determinare la
scelta di partecipare e aderire ai trials vaccinici per l’HIV sono molteplici. Si evince anche che
la decisione di partecipare o meno ai trials vaccinici è il frutto di un processo di valutazione di
motivazioni e preoccupazioni, le prime influenzate dall’emotività e dall’idealismo, le seconde
più influenzate dal cinismo e dal pragmatismo (McQueen et al., 1994). Data la varietà di tali
fattori, spesso risulta arduo, in sede di pianificazione dei trials, scegliere una metodologia
efficace in grado di soddisfare le esigenze dei partecipanti e, anche se la partecipazione
viene ottenuta, spesso risulta difficile mantenere l’adesione dei pazienti per un tempo
prolungato. Partecipare a tale tipo di sperimentazione richiede un elevato equilibrio fisico e
psicologico e comporta una richiesta di sostegno emotivo che non sempre le caratteristiche
dei trials prevedono e soddisfano. È stato ampiamente documentato, infatti, come il fallimento
dei trials sperimentali sia attribuibile anche alla negazione delle volontà e delle preferenze dei
pazienti riguardo al trattamento (Lambert & Wood, 2000).
È stato ben sottolineato in letteratura il bisogno dei soggetti di essere più informati sulle
caratteristiche della sperimentazione. In particolare, è stato rilevato come i soggetti vogliano
sapere tutto ciò che riguarda la metodologia del trial, le percentuali di successo del vaccino,
la futura disponibilità dello stesso, i suoi effetti collaterali, vogliono sapere se riceveranno
assistenza in caso di malattia, e quale è il rischio di contrarre l’AIDS (Strauss et al., 2001).
Quanto una maggiore informazione sui trials incida positivamente sulla volontà di
partecipare alla sperimentazione rappresenta un tema tanto dibattuto quanto controverso in
letteratura. Esistono alcune evidenze scientifiche che sottolineano l’effetto negativo che una
maggiore informazione può provocare sulla decisione di partecipare (Koblin et al. 2000),
mentre altri studi hanno trovato che non esiste alcuna relazione tra conoscenza e volontà
(Halpern et al., 2001). Più specificamente, è stato dimostrato che dare alcune informazioni-
chiave riguardo la finalità della sperimentazione, la possibilità di lasciare lo studio nel
momento in cui il trattamento non è soddisfacente e la garanzia di avere tutte le informazioni
prima che sia compiuta l’assegnazione alla specifica condizione sperimentale può
determinare un cambiamento di decisione in quelli che prima avevano scelto di non
In generale, comunque, i pazienti si dichiarano motivati a partecipare alla
sperimentazione ma il tipo di trial e lo stile comunicativo dello staff di ricerca esercitano una
influenza considerevole sulla loro decisione (Jenkins & Fallowfield, 2000). Ciò che appare
assolutamente necessario sottolineare è che l’adozione di un modello della comunicazione
individualizzata delle informazioni appare la scelta più efficace da compiere in tale contesto.
In questo modello viene assunto che i pazienti differiscono in funzione della quantità di
informazioni che vogliono e nel modo di affrontarle, che i pazienti necessitano di tempi
differenti per elaborare le informazioni e prendere decisioni, che una relazione medico-
paziente basata sulla fiducia e il rispetto reciproco è negli interessi dei pazienti (Donovan,
1993). Si evince che la chiave di successo per ottenere una sperimentazione efficace è
rappresentata dalla conoscenza delle esigenze informative dei pazienti e dalla conseguente
individualizzazione della comunicazione delle informazioni.
Tale evidenza scientifica conduce, dunque, ad un altro nodo problematico della natura
dei trials sperimentali: la comunicazione medico-paziente.
La comunicazione medico-paziente gioca un ruolo cruciale nella determinazione del
successo di una sperimentazione. È stato già anticipato nel paragrafo precedente come
alcune difficoltà comunicative del medico o percezioni distorte sulle aspettative e i desideri dei
pazienti possano indurre il medico-ricercatore a mettere in atto comportamenti che incidono
negativamente sulla scelta dei pazienti. I medici, spesso si trovano in difficoltà nel sostenere il
doppio ruolo di clinico e di ricercatore; così, per esempio, trovano difficile ammettere che non
sanno quale trattamento è il migliore (Taylor, 1985; Taylor & Kelner, 1987; Ross et al., 1999).
Allo stesso modo, il timore di sentirsi responsabili se il paziente non riceve il trattamento
migliore (Taylor et al., 1984; Ross et al., 1999), le preoccupazioni per gli effetti collaterali
della sperimentazione (Foley & Moertel, 1991; Ross et al., 1999), la convinzione che il
consenso informato non è fondamentale per proteggere gli interessi del paziente (Benson et
al., 1991; Ross et al., 1999), l’incapacità di valutare i loro bisogni informativi e di sostenerli
emotivamente durante il periodo della sperimentazione, rappresentano tutte variabili che
incidono in maniera negativa sulla relazione M-P e, inevitabilmente sul successo della
Anche scegliere la forma e i tempi per comunicare le informazioni può risultare
determinante. È stato rilevato che i medici spendono più tempo a dare informazioni alle
persone con un migliore background socioeconomico, in contrasto con le evidenze che
segnalano un bisogno maggiore di tempo per elaborare le informazioni e decidere da parte
dei soggetti con livello socioeconomico inferiore (Helmann, 1985; Hietanen et al., 2000).
Anche la scelta della forma di comunicazione più appropriata può incidere sul successo della
sperimentazione: l’uso di informazioni scritte in combinazione con quelle fornite verbalmente
può aumentare significativamente la memoria delle informazioni (Tindal et al., 1994; Hietanen
Appare evidente, dunque, come nell’organizzazione e nell’implementazione di un trial
sperimentale sia necessario adottare un approccio psicosociale che tenga conto sia delle
conseguenze psicologiche e sociali che la sperimentazione comporta nei pazienti, sia delle
loro preferenze e bisogni informativi. Allo stesso tempo, all’interno di un trial sperimentale
efficace non può non essere considerata l’eventualità di offrire un sostegno che permetta ai
pazienti di elaborare i loro disagi, le loro incertezze e le loro paure inerenti alla malattia e al
La necessità di un approccio psicosociale nella programmazione e nell’implementazione dei
La validità e l’attendibilità dei trials vaccinici può essere gravemente inficiata dalla
difficoltà di reclutamento dei pazienti o dalla loro perdita al follow-up. La volontà di aiutare la
ricerca o la società, l’aspettativa di cure migliori e più durature, l’aspettativa di miglioramento
della rete sociale, l’aspettativa di una remunerazione, l’influenza delle opinioni delle persone
significative, l’aspettativa di assenza di effetti collaterali del trattamento e la fiducia
nell’efficacia della sperimentazione e nel medico, rappresentano tutti fattori che incidono
positivamente sulla scelta di accettare di partecipare ai trials. Allo stesso tempo, il timore che
la partecipazione al trial possa provocare problemi di discriminazione sociale, la paura degli
effetti collaterali del trattamento, l’impegno eccessivo che la partecipazione comporta, la
sfiducia nell’efficacia del vaccino, il rifiuto di essere assegnati alla condizione placebo
rappresentano, invece, le principali barriere alla partecipazione alla sperimentazione.
Inoltre, esiste l’evidenza che i bisogni informativi dei pazienti non sono sempre
soddisfatti e che la comunicazione M-P risulta essere spesso superficiale e, a volte,
addirittura deleteria per il successo della sperimentazione. A ciò si aggiungono le difficoltà
che i medici stessi hanno a condurre tali studi. In letteratura, emerge la tendenza a
sottostimare e a non approfondire con la necessaria accuratezza ed oggettività metodologica
il ruolo che le motivazioni, gli atteggiamenti ed i comportamenti dei medici e/o dei ricercatori
coinvolti nella sperimentazione possono svolgere nella determinazione della motivazione del
paziente a partecipare ai trials vaccinici e/o a mantenere ottimali livelli di aderenza.
Poco, infatti, è noto circa i bisogni formativi dei medici in questo campo, sebbene
numerosi studi abbiano rilevato, anche nel nostro paese, la sostanziale divergenza di
prospettive che separa – nei contesti della sperimentazione clinica – le motivazioni, le
aspettative e le esigenze dei medici dai bisogni, dalle attese e dalle speranze dei pazienti
affetti da gravi patologie organiche (Hanley et al., 2001; Dazzi et al., 2001). Come
efficacemente sintetizza Paolo Bruzzi (2002):
“… Le due motivazioni ufficiali della sperimentazione clinica sono di tipo scientifico… e di tipo economico-
commerciale…. Senza entrare nel merito delle motivazioni meno ovvie che possono incentivare il medico a
promuovere una sperimentazione clinica e/o ad inserirvi dei pazienti, è indiscutibile che queste motivazioni
esistono e che sono quasi sempre legittime. Ciononostante, nessuna di queste motivazioni (ufficiali o non
ufficiali) ha realmente a che fare con le aspettative del paziente, che vorrebbe solo ricevere la terapia più
efficace (o con le maggiori probabilità di efficacia)…Questa differenza di motivazioni crea una situazione di
conflitto di interessi che non sempre è adeguatamente esplicitata al paziente…Tutti i pazienti dovrebbero
essere adeguatamente informati sulle loro condizioni e prospettive terapeutiche e dovrebbero partecipare (non
solo acconsentire) a tutte le decisioni che li riguardano. Visto il quadro desolante dei rapporti tra medico e
paziente che si ha ancora in Italia, dove al paternalismo si sostituisce il tecnicismo ma la comunicazione si
mantiene scarsa o nulla, con vaghe giustificazioni pietistiche, (questa) affermazione può apparire velleitaria e
forse il paziente inserito in una sperimentazione è oggi quello che riceve la maggior quantità di informazioni.
Sono poche, però, in Italia le ricerche sulla reale comprensione delle informazioni ricevute. Gli studi condotti in
altri paesi hanno dato risultati spesso sconfortanti e non ci sono motivi per pensare che la situazione in Italia sia
La sperimentazione clinica rappresenta un aspetto della professione medica esposto ai
medesimi rischi che gravano attualmente sull’intero agire professionale del medico. Molti dei
temi che caratterizzano lo studio della comunicazione M-P nei contesti della sperimentazione
clinica non sono, infatti, caratteristici del campo di interesse specifico, ma riguardano barriere
che ogni medico, nella pratica professionale contemporanea, è chiamato ad affrontare e
rimuovere. L’intera professione medica ha dovuto, negli ultimi decenni, misurarsi con
trasformazioni che hanno progressivamente modificato il ruolo medico e imposto nuovi
compiti comunicativi all’interno della relazione M-P. È noto, infatti, che, allo stato attuale, è
stato progressivamente riconosciuto al paziente il diritto ad essere il protagonista assoluto di
ogni forma di decisione clinica. È ugualmente nota la crescente consapevolezza con cui i
pazienti o diversi gruppi di pressione sociale intendono salvaguardare e garantire, anche nei
contesti sperimentali, questo fondamentale diritto di libertà. Negli ultimi decenni, la centralità
del paziente all’interno della relazione M-P è stata legislativamente e normativamente
sancita, sebbene parte della cultura medica continui ad opporre a questa importante
modificazione di ruolo notevoli resistenze e numerose obiezioni. Tali obiezioni sono
particolarmente evidenti nell’ambito della sperimentazione clinica, dove continua a prevalere
l’idea che il paziente - dopo aver ricevuto tutte le informazioni del caso - si affidi al medico o
faccia prevalere motivazioni altruistiche che, in assenza di certezze o vantaggi terapeutici
noti, necessitano soprattutto di un forte atto di fiducia nei confronti delle figure curanti e dei
contesti organizzativi (sponsor, ospedale, università, ambulatorio) all’interno dei quali viene
In proposito, è interessante notare che mancano quasi del tutto studi finalizzati ad
analizzare le percezioni e le attribuzioni operate dai pazienti riguardo alle motivazioni che
animano e sostengono le sperimentazioni cliniche. Di fatto, si può osservare che maggiore è
il livello di istruzione maggiore è la tendenza dei pazienti a non partecipare ai trials
sperimentali (Altman et al., 1995) . Ad esempio, i medici che si ammalano di cancro
aderiscono alle sperimentazioni con frequenza minore rispetto agli altri ammalati (Altman et
al., 1995) ed è noto che, sul piano etico e civile, esiste un forte movimento sociale volto a
denunciare quanto i pazienti appartenenti a classi sociali svantaggiate rappresentino, nella
realtà, il bacino di reclutamento elettivo della sperimentazione clinica (Bruzzi, 2002).
Come si è visto, scarsi – però – sono tuttora scarsi gli studi volti a chiarire quanto la
quantità e la qualità dell’informazione (posseduta, trasmessa, acquisita) condizioni il processo
decisionale che sottende la scelta del paziente a partecipare ai trials vaccinici e/o
farmacologici HIV correlati. Gli studi realizzati sinora in altri contesti sperimentali evidenziano
che, in questo ambito, le informazioni date al paziente in occasione dei reclutamenti
sperimentali sono carenti e che, soventemente, risultano incomprese o incomprensibili.
Ancora più spesso, la ricerca sull’argomento evidenzia quanto, nel colloquio di reclutamento,
venga raramente chiarito il diritto del paziente a decidere liberamente la sua partecipazione.
Nel processo comunicativo finalizzato al reclutamento, sono invece stati rilevati numerosi
fenomeni di distorsione introdotti dai medici/reclutatori che - spesso inconsapevolmente –
trasmettono talvolta al paziente l’idea che il rifiuto a partecipare avrà effetti deleteri a) sulla
qualità dell’assistenza che riceve o riceverà fuori dalla sperimentazione e b) sulla relazione
In questo complesso scenario, è opportuno che ogni medico/reclutatore acquisisca e
perfezioni abilità comunicative che comprendono la capacità di:
• Trasmettere informazioni al paziente; • Definire il contratto terapeutico; • Individuare, pianificare e rimuovere barriere che condizionano e/o possono
• Gestire procedure cliniche caratterizzate da elevati livelli di incertezza; • Acquisire strategie comportamentali utili per garantire il rispetto di normative etiche,
linee-guida e protocolli di sperimentazione;
• Ottenere e garantire il consenso informato.
In conclusione, appare quanto mai rischioso ed ingenuo eludere dalla programmazione
e dall’implementazione di un trial vaccinico la considerazione delle dimensioni comunicative,
psicologiche e sociali implicite nella sperimentazione clinica. La soddisfazione delle esigenze
informative dei pazienti ed il controllo attento dei fenomeni di distorsione introdotti dai
ricercatori/reclutatori rappresentano, infatti, un elemento centrale nella determinazione del
successo e del corretto svolgimento delle procedure sperimentali. In questo settore,
un’ottimale livello comunicativo M-P può ridurre notevolmente non solo i tassi di drop-out dei
pazienti, ma anche e soprattutto l’immagine - pericolosamente esposta a distorsioni - delle
finalità etiche della ricerca clinica e sperimentale.
D’altra parte, il miglioramento della comunicazione M-P nei contesti della
sperimentazione clinica è un obiettivo facilmente perseguibile attraverso degli stessi
ricercatori. In quest’ottica, dunque, appare auspicabile, per il successo della sperimentazione,
aprire il laboratorio di ricerca al contributo delle scienze del comportamento e porre al centro
della programmazione dei trial sperimentali:
1. Il superamento delle contraddizioni insite nell'esercizio contemporaneo del ruolo curante e
2. La formazione dello staff di ricerca alla comunicazione e al counselling
3. La valutazione delle informazioni in possesso dei soggetti
4. La valutazione delle motivazioni a partecipare o non partecipare alla sperimentazione
5. La valutazione dei bisogni informativi e delle aspettative dei soggetti mediante l'adozione
6. Un intervento informativo individualizzato per i soggetti reclutati e, più generale, per la loro
7. Interventi motivazionali nel corso della sperimentazione, per ridurre il rischio di drop-out.
Aaranson NK, VisserPol E, Leenhouts GHMW, Muller MJ, Van der Schot ACM, Van dam
FSAM, Keus RB, Koning CCE, Ten Bokkel Huinink WW, Van Dongen JA, et al. (1996).
“Telephone-based nursing intervention improves the effectiveness of the informed consent
process in cancer clinical trials”. J Clin Oncol; 14: 984-996.
Altman DG, Whitehead J, Parmar MK et al. (1995) Randomized consent designs in cancer
clinical trials. Eur J Cancer 31A(12): 1934-44
Autret E, Dutertre JP, Barbier P, Jonville AP, Pierre F, Berger C (1993). “Parental opinions
about biomedical research in children in Tours, France”. Devel Pharmachol Ther; 20: 64-71.
Benson AB 3rd, Pregler JP, Bean JA, Rademaker AW, Eshler B, Anderson K (1991).
“Oncologists reluctance to accrue patient onto clinical trials: an Illinois cancer center study”. J
Bergmann JF, Chassany O, Gandiol J, Deblois P, Kanis JA, Segrestaa JM, Caulin C, Dahan
R (1994). “A randomized clinical trial of the effect of informed consent on the analgesic
activity of placebo and naproxen in cancer pain”. Clin Trials Meta-Analysis; 29: 41-47.
Bevan EG, Chee LC, McInnes GT (1992). “Patients’ attitudes to partecipation in clinical trials”.
Bruzzi P (2002). “Il paziente e la sperimentazione clinica” in Bellini M, Marasso G, Amadori
D, Orrù W, Grassi L, Casali PG, Bruzzi P (a cura di) , “Psiconcologia”, Milano, Masson, pp.
Corbett F, Oldham J, Lilford R (1996). “Offering patients entry in clinical trials: preliminary
study of the views of prospective partecipants”. J Med Ethics; 22: 227-231.
Dazzi D, Agnetti B, Bandini L et al. (2001) “Comments, opinions and brief case reports: what
do the people think (and know) about informed consent for partecipation in a medical trial”.
De Luca SA, Korcuska LA, Oberstar BH, Rosenthal ML, Welsh PA, Topol EJ (1995). “Are we
promoting true informed consent in cardiocascular clinical trials?”. J Cardiovasc Nurs; 9: 54-
Fallowfield LJ, Jenkins V, Brennan C, Sawtell M, Moynihan C, Souhami RL (1998). “Attitudes
of patients to randomised clinical trials of cancer therapy”. Eur J Cancer; 34, 10: 1554-1559.
Fisher WB, Cohen Sj, Hammond MK, Turner S, Loehrer PJ (1991). “Clinical trials in cancer
therapy: efforts to improve patient enrollment by community oncologists”. Med Pediatr Oncol;
Foley JF, Moertel CG (1991). “Improving accrual into cancer clinical trials”. J Cancer Educ; 6:
Goldie L (1982). “ The ethics of telling the patient”. J Med Ethics 8(3): 128 – 133.
Halpern SD, Metzger DS, Berlin JA, Ubel P (2001). “Who will enroll? Predicting partecipation
in a phase II AIDS vaccine trial”. JAIDS; 27:281-288.
Hanley B, Truesdale A, King A et al. (2001) “Involving consumers in designing, conducting
and interpreting randomised controlled trials: questionnaire survey”. BMJ 322:519-523.
Helman CG, (1985). “Communication in primary care: the role of patient and practioner
explanatory models”. Soc Sci Med; 20: 923-931.
Henzlova MJ, Blackburn BH, Bradley EJ, Rogers WJ (1994). “Patient perception of a long-
term clinical trial: experience using a close-out questionnaire in the Studies of Left Ventricular
Dysfunction (SOLVD) trial”. Control Clin Trials; 15: 284-293.
Hietanen P, Aro AR, Holli K, Absetz P (2000). “Information and communication in the context
of a clinical trial”. Eur J Cancer; 36: 2096-2104.
Hunter CP, Frelick RW, Feldman AR, Bavier AR, Dunlap WH, Ford L, Henson D, MacFarlane
D, Smart CR, Yancick R et al. (1987). “Selection factors in clinical trials: results from the
Community Clinical Oncology Program Physician’s Patient Log”. Cancer Treat Rep; 71: 559-
Jenkins RA, Temoshok LR, Virochsiri K (1995). “Incentives and disincentives to partecipate in
prophylactic HIV vaccine research". JAIDS; 9: 36-42.
Jenkins RA, Chinaworapong S, Morgan PA, Ruangyuttikarn C, Sontirat A, Chiu J, Micheal
RA, Nitayaphan S, Khamboonruang C (1998). “Motivation, recruitment and screening of
volunteers for a phase I/II HIV preventive vaccine trial in Thailand”. JAIDS; Vol. 18, no. 2:171-
Jenkins V, Fallowfield L (2000). “Reasons for accepting or declining to partecipate in
randomized clinical trials for cancer therapy”. Br J Cancer; 82 (11): 1783-1788.
Jensen AB, Madsen B, Andersen P, Rose C (1993). “Information for cancer patients entering
a clinical trial. An evaluation of an information strategy”. Eur J Cancer; 29A: 2235-2238.
Koblin BA, Holte S, Lenderking B, Heagerty P (2000). “Readiness for HIV vaccine trials:
changes in willingness and knowledge among high-risk populations in the HIV network for
prevention trials”. JAIDS, 24, 5: 451-457.
Lambert MF & Wood J, (2000). “Incorporating patient preferences into randomized trials”. J
Llewellyn-Thomas HA, Thiel EC, Sem FWC, Woermke DEH, (1995). “Presenting clinical trial
information: a comparison of methods”. Pat Educ Counsel; 25: 97-107.
MacQueen KM, Buchbinder S, Douglas JM, Judson FN, McKirnan DJ, Bartholow B (1994).
“The decision to enroll in HIV vaccine efficacy trials: concerns elicited from gay men at
increased risk for HIV infection”. JAIDS; 10: S2 61-64.
Maslin A (1994). “A survey of the opinion on informed consent of women currently involved in
clinical trials within a breast unit”. Eur J Cancer Care; 3: 153-162
McPherson K & Britton A (1999). “The impact of patient treatment preferences on the
interpretation of randomised controlled trials”. Eur J Cancer; Vol. 35, no. 11: 1598-1602.
Myers MG, Caims JA, Singer J (1987). “The consent form as a possible cause of side
effects”. Clin Pharmachol Ther; 42: 250-253.
Orr PR, Blackhurst DW, Hawkins BS (1992). “Patient and clinical factors predictive of missed
visits and inactive status in a multicenter clinical trial”. Control Clin Trials; 13: 40-49.
Périssé ARS, Schechter M, Moreira RI, do Lago RF, Santoro-Lopes G, Harrison LH & Projeto
Praça Onze Study Group (2000). “Willingness to participate in HIV trials among men who
have sex with men in Rio de Janeiro, Brazil”. JAIDS 25: 459-463.
Ross S, Grant A, Counsell C, Gillespie W, Russel I, Prescott R (1999). “Barriers to
participation in randomised controlled trials: a systematic review”. J Clin Epidemiol, 52, 12:
Sheon AR, Wagner L, McElrath MJ, Keefer MC, Zimmermann E, Israel H, Berger D, Fast P
(1998). “Preventing discrimination against volunteers in prophylactic HIV Vaccine trials:
lessons from a Phase II trial”. JAIDS; 19, 5: 519-526.
Simel DL, Feussner JR (1991). “A randomized controlled trial comparing quantitative informed
consent formats” J Clin Epidemiol; 44: 771-777.
Simes RJ, Tattersall MH, Coates AS, Raghavan D, Solomon HJ, Smart H (1986).
“Randomised comparison of procedures for obtaining informed consent in clinical trials of
treatment of cancer". BMJ; 293: 1065-1068.
Siminoff LA, Fetting Jh, Abeloff MD (1989). “Doctor-patient communication about breast
cancer adjuvant therapy”. J Clin Oncol; 7: 1192-1200.
Strauss RP, Sengupta S, Kegeles S, McLellan E, Metzger D, Eyre S, Khanani F, Emrick CB,
MacQueen KM (2001). “Willingness to volunteer in future preventive HIV vaccines trials:
issues and perspectives from three U. S. communities”. JAIDS; 26: 63-71.
Taylor KM, Margolese RG, Soskolne CL (1984). “Physicians’ reasons for not entering eligible
patients in a randomized clinical trial of surgery for breast cancer”. NEJM; 310: 1363-1367.
Taylor KM (1985). “The doctor’s dilemma: physician partecipation in randomised clinical
trials”. Cancer Treat Rep; 69: 1095-1100.
Taylor KM, Kelner M (1987). “Interpreting physician partecipation in randomised clinical trials:
the physician orientation profile”. J Health Soc Behav; 28: 389-400.
Taylor KM, Shapiro M, Soskolne CL, Margolese RG (1987). “Physician response to informed
consent regulations for randomized clinical trials”. Cancer; 60: 1415-1422.
Tindal B, Forde S, Ross MW,Goldstein D, Barker S, Cooper DA (1994). “Effects of two
informed consent on knowledge amongst persons with advanced HIV desease in a clinical
trial of didanosine”. Pat Educ Counsel; 24: 261-266.
Toynbee P (1997). “Random clinical trials are one of life’s biggest gambles”. BMA News Rev
Yeomans Kinney A, Vernon SW, Frankwoski RF, Weber DM, Bitsura Jm, Vogel VG (1995).
“Factors related to enrolment in the breast cancer prevention trial at a comprehensive cancer
center during the first year of recruitment”. Cancer; 76: 46-56.
Wadland WC, Hughes JR, Seckler Walker RG, Bronson DL, Fenwick J (1990). “Recruitment
in a primary care trial on smoking cessation”. Fam Med; 22: 201-204.
International Journal of Gynecology and Obstetrics (2008) 100, 4–9a v a i l a b l e a t w w w. s c i e n c e d i r e c t . c o mw w w. e l s e v i e r. c o m / l o c a t e / i j g oA systematic review of randomized controlled trials toreduce hemorrhage during myomectomy foruterine fibroids ☆E.J. Kongnyuy a,⁎, N. van den Broek a, C.S. Wiysonge ba Child and Reproductive Health Group,
Study Trip 2011 – Report I was never fond of fairy tails until and unless I saw them running in front of my eyes. I fortnight in Europe was not less than a fairy tale, because of DAAD (German Academic Exchange Service) I was able to live a dream of travelling in Europe. It was remarkable and it will remain in my reminiscences for ever. By the time we reached Munich Mr. Nicholas Nordt had